Storia

a cura di Paride Leporace

Era tanto tempo fa. Gli anni Ottanta stavano per finire. Dal Canada e dall’incubo emergenziale era tornato tra noi un compagno particolare. Nella sede di una cooperativa attorno a Franco Piperno sono seduti reduci di ogni epoca e provenienza. Alcuni non si incontravano da anni. Altri non avevano mai fatto una riunione assieme. Si fraternizza subito. La compagnia si allarga qualcuno inevitabilmente va via. Si discute molto del sud. Cosenza è sempre stata città attenta ai movimenti. Con l’ausilio del cibo si socializza meglio. Nasce un’associazione che si battezza con il nome di Ciroma. Parola dialettale calabrese che significa casino misto a caos. La radice semantica proviene dal greco ed evoca i raduni di piazza. Si discute molto della criminalizzazione della Calabria. Nelle lunghe discussioni nella prima bellissima sede nel centro storico l’ideologia perde vigore rispetto al senso comune. Dopo qualche mese si offre un’occasione. Un’associazione di volontariato femminile vende una radio. Frequenza ed attrezzatura. Perplessità ed incertezze, ma alla fine una decina di persona si assumono la responsabilità di firmare una cambiale. Nasce Radio Ciroma. Dopo aver montato l’antenna e piazzato il ripetitore in un gabbiotto sulle colline siamo in onda. La comunità diventa eterogenea. Le generazioni si confondono. Spesso fanno festa ed invadono le piazze. Ciromista diventa uno stile di vita, per fortuna non ci sarà mai ciromismo. L’informazione è spatronata. Utensile di formazione di molti compagni che dopo passeranno alla professione. Ma la radio non si professionalizzerà mai. Il dibattito sulla pubblicità sarà duro. Ma si deciderà di rimanere duri e puri, ma anche poveri. Con continue campagne di finanziamento che alimenteranno “una piccola bambina”. Ciroma punto di riferimento durante la guerra del Golfo. Dalla radio il dibattito ritrasmette le tensioni del postpantera e del nuovo smarrimento. Il municipalismo come potere sostituito diventa il nuovo orizzonte. Mentre il sistema politico va in tilt nasce un programma per le elezioni comunali con dieci tesi per la città. Una lista ed un candidato a sindaco guadagnano percentuali elettorali piccole ma significative. Sulla lunga distanza quel programma contaminerà incredibilmente il nuovo corso della città. La radio continuerà a narrare le mille storie umane del suo vissuto. Scalzone interviene da Parigi, i fuoriusciti cosentini da ogni dove spediscono cassette con programmi preregistrati. Si cambieranno altre due sedi. Verranno sempre risolti guai finanziari enormi ed anche un grande inghippo burocratico sull’assegnazione della frequenza sarà risolta da una battaglia giuridica e politica. La radio della memoria abbevera nuovi soggetti sociali. Gli ultrà aderiscono, un gruppo musicale chiamato Ciroma si impone sulla scena nazionale. Cambiano volti, generazioni, tendenze ma Ciroma va avanti. A volte gracchia, quando infuria il maltempo è spenta ma la radio è sempre viva. Un cuneo che ha stravolto i canoni della comunicazione. Oggi sciamano al locale i ciromisti della terza generazione. Hanno nuove consapevolezze. Quella del mondo migliore possibile. Dal sud il sentire radiofonico di Ciroma si oppone al vedere televisivo. L’autodeterminazione produttiva del soggetto intellettuale collettivo è ricco di esperienze. Volti, sensi e corpi che ancora amano, ridono, combattono. Da quei microfoni senti ancora l’elogio della “suprissata” (ottimo salame calabrese) e il rap di Marcos, Vivaldi, un servizio in diretta su un corteo, una corrispondenza da Padova, l’intervento da radio Gap, i Sepultura, la registrazione di Piperno che commenta l’ammainamento della bandiera rossa sul Cremlino. Per quelli che sono andati via e per quelli che verranno il sogno di continuare a tendere la mano verso l’orizzonte dell’utopia. Sperimentazione sociale, riutilizzo della tecnica di scarto. Senza profitto e contro la lebbra del potere. Sui 105.700 sempre pronti all’esodo e al conflitto attraverso le ali della libera frequenza di Radio Ciroma.

 

Etimologia


a cura del prof. Francesco Di Biase

La voce ciroma si compone di due elementi: un radicale latino, cera, divenuto cira passando nel nostro dialetto, ed un suffisso -oma con valore tendenzialmente dispregiativo. Nella mia ricerca sul lessico cosentino in uso nella media valle della sinistra del Crati fino a Cosenza, ho incontrato, oltre a ciroma, differenti termini di struttura analoga, che mi fanno da testimoni: fracoma (marciume), caloma (caldo asfissiante), sintôma (sonnolenza precorritrice di fastidi più gravi). Ciroma e fracoma, registrati in un vocabolario del 18951, si mostrano dunque presenti nella nostra espressione, alla fine del XIX secolo. Caloma e sintôma, invece, sono ancora vivi nella lingua parlata e risultano usati anche nel dialetto albanese del mio paese, San Martino di Finita, nella grafia kallomë, nascosta a sua volta dalle desinenze dei casi delle varie declinazioni. Questi vocaboli in -oma sembrano avere le stesse caratteristiche di ematoma, granuloma, epitelioma, ecc., coniati dalle scienze mediche con il significato non certo piacevole di infiammazione, con preciso riferimento a sìntomo, nel concetto originario di segno, indizio, dal greco sýmptôme, avvenimento fortuito. Per quanto riguarda cira, si può dire che in passato indicava forse anche il cerume, visto che il latino cerumen è attestato più tardi nel latino medievale. Il collegamento semantico tra il suffisso cera e -oma è costituito dal senso di chiasso, fracasso, attribuito a ciroma. Sembrerebbe qui, che il senso negativo espresso con -oma riguardi l’orecchio simboleggiato dalla metafora cera, perché cerumen – come già detto – è posteriore. A conti fatti, la ciroma è il chiasso che, metaforicamente, va oltre la cera di protezione delle orecchie, penetra fin nei cèlami per mettere in moto qualcosa. La voce è forse di origine dotta e coniata sulla base degli altri modelli sopraccitati in -oma. Faccio osservare inoltre che molti altri termini hanno lo stesso contenuto, sia pure con sfumature diverse. Ne ricordo alcuni: arribìeddru, rimuràta, bìrbia, ciambaddròtta, scena, lòtanu, pappagaddràta, parapìglia, barabùglia, shtrùsciu, chiàssu ed altri certamente mi saranno sfuggiti.

1 cfr. Accattatis L. (1895) Vocabolario del dialetto calabrese, Tipografia Patitucci, Castrovillari